Gone Home

Gone Home – Recensione

A volte capita che ci si lascia qualcosa alle spalle, e quando si parla di Nintendo Switch è davvero un attimo perdersi qualche piccola perla indie a causa dell’elevata quantità di produzioni che stanno (neanche troppo) lentamente assaltando l’eShop del gioiellino ibrido di Kyoto. Tra i miei recuperi più recenti, complice il mio socio in affari Mast3rFe1n, quello di cui vado forse più fiero è proprio Gone Home. Pubblicato per la prima volta sul PC nel 2013, Gone Home è stato prima riadattato per Xbox One e PlayStation 4, e più recentemente anche su Nintendo Switch grazie al supporto dell’editore Annapurna Interactive.

E non posso che esserne più felice, in quanto ad avventura conclusa posso affermare senza alcun dubbio di non aver mai avuto a che fare con titoli capaci allo stesso tempo di emozionarmi ed intrattenermi come ha saputo fare questo Gone Home. Pur appartenendo al genere dei walking simulator, giochi nei quali di fatto non si deve fare altro se non camminare esplorando luoghi in grado di far scorrere una trama di fondo sulla quale si basa la forza dell’opera, la storia narrata dal piccolo team The Fullbright Company riesce ad imporsi di prepotenza come punto di riferimento per l’intera categoria.

Gone Home
Dove siete finiti tutti quanti?

Prima di procedere devo essere sincero su un aspetto importante del gioco. Gone Home richiede di essere affrontato con molta attenzione e dedizione, in quanto l’intera infrastruttura ludica è ancorata sulla necessità di leggere grandi quantità di testi (fortunatamente ben localizzati in italiano) e sulla loro ricerca spasmodica. Per questo motivo, se non siete avvezzi a queste dinamiche sarà praticamente impossibile apprezzare il titolo. Se, invece, amate le avventure story driven sappiate che in Gone Home ne troverete degna di essere vissuta nonostante la sua scarsa longevità (assestata sulle circa 3 ore).

Siamo nel 1995, precisamente il 7 giugno di quell’anno, ed impersonando i panni di Kaitlin Greenbriar – una ragazza neolaureata di 22 anni – ci apprestiamo a rientrare a casa dopo un lunghissimo viaggio attraverso l’Europa. Varcando la porta di ingresso della nostra immensa dimora, ci rendiamo conto che questa è stranamente vuota. E’ chiaro che la nostra famiglia sia scomparsa ma, per ovvie ragioni, non ci è dato di sapere il perché; l’unico indizio con il quale partire alla scoperta della verità è un appunto lasciato da nostra sorella fuori dalla porta principale: “Katie, mi dispiace non essere li a vederti, ma non mi è proprio possibile….”. E’ qui che capiremo come sia arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e perlustrare il lungo e largo la nostra abitazione.

Gone Home
Una normale stanza caduta vittima del nostro pasaggio!

L’atmosfera riprodotta da Gone Home è decisamente interessante. Nonostante sia tutto fuorché un horror, la prima sensazione che proverete è quella di disagio. Le sonorità ambientali aiutano di certo a farci calare rapidamente nella parte, così come le numerose note affrettate lasciate per noi fin da subito, atte a farci capire fin da subito quanto sarà importante scovarle tutte.

Da questo momento gran parte del tempo lo passeremo a “mappare” la grande abitazione per capire quali porte possono essere già aperte e quali richiedono il ritrovamento della giusta chiave. Durante questa ricerca avremo a che fare con numerosissimi oggetti di uso quotidiano, alcuni utili altri meno per l’avanzamento della nostra indagine, grazie ai quali il contesto riesce ad essere sempre molto credibile. Forse si sarebbe potuto fare di più sulla varietà, soprattutto per quanto riguarda i mobili che risultano spesso tutti uguali tra loro, ma tenendo sempre a mente quale sia il vero focus del titolo non mi sento di penalizzare troppo l’opera a causa di tale aspetto.

Gone Home
Questa casa è dannatamente immensa….

La narrativa fortemente incentrata sul ritrovamento di indizi permette alle vicende narrate di diventare quasi intime con il giocatore, che rimane costantemente attratto da questo meccanismo di ricerca continua. E’ proprio per questo che non sarà difficile terminare il gioco in una sessione unica, ma vi garantisco che se vorrete comprendere ogni singolo aspetto della trama non è da escludere l’idea di affrontare il gioco più volte. Per questo motivo, saggiamente aggiungerei, gli sviluppatori hanno inserito la possibilità di attivare – prima di avviare la partita – alcuni modificatori in grado di variare l’esperienza. Tra questi i più interessanti sono senza alcun dubbio quelli che ci faranno trovare la casa con tutte le luci già accese e/o con tutte le porte già sbloccate. Di conseguenza, la longevità sarà di fatto un fattore completamente affidato alle decisioni del giocatore.

Desidero soffermarmi nuovamente su quest’ultimo aspetto. Sebbene sia possibile concludere l’avventura anche in una manciata di minuti, in questo modo è davvero impossibile godersi il messaggio chiave che questa vorrebbe che venisse colto dal giocatore. Per questo motivo io stesso ho sentito l’esigenza di ricominciare il gioco una seconda volta (apprezzandolo molto di più tra l’altro), ed ho sentito di averlo veramente portato a termine solamente dopo aver compreso veramente dove fosse finita la famiglia di Kaitlin e, soprattutto, il perché.

Non voglio veramente cadere nello spoiler, ma è importante che sappiate come molte delle vicende narrate sono tutt’altro che di fantasia. Queste infatti trattano temi tanto delicati quanto reali, gettando diversi spunti di riflessione su quelli che sono i pregiudizi sulla nostra stessa società.

Gone Home
Attraverso diversi modificatori è possibile personalizzare l’esperienza di gioco (e la sua longevità)!

Dopo aver tessuto le lodi sull’aspetto narrativo è il momento di dire due parole su quello tecnico, dopotutto siamo pur sempre di fronte ad un videogame. Non voglio certo pretendere grandi stravolgimenti da una versione Switch del gioco, ma considerando la natura portatile della console e l’introduzione del supporto al suo touch screen devo ammettere che mi sarei aspettato di più. Attraverso l’utilizzo delle nostre dita, chiaramente solo in modalità portatile, è possibile solamente muovere la visuale. Una funzione che ad essere onesti lascia il tempo che trova e che non ho mai utilizzato; se fosse stata applicata anche all’interazione con i vari oggetti avrei sicuramente apprezzato di più e sono anche certo che avrebbe reso la storia ancora più intima.

Tolto questo appunto il titolo gira fluido in tutte le modalità senza rallentamenti di sorta, con una grafica piacevole anche se palesemente non all’avanguardia (complice la ripetitività ambientale sopra citata). Al prezzo di soli €14,99 non potevamo certo pretendere un porting interamente incentrato sulle funzionalità della console ma considerandone la natura questo avrebbe forse permesso al gioco di raggiungere una maggior fetta di utenza.

C’è da dire che comunque l’avventura merita di essere vissuta, non importa dove, poiché è in grado di farci conoscere personaggi che non sono fisicamente presenti nel luogo che stiamo esplorando, dimostrando come la forza delle parole può riuscire a scuotere i nostri pensieri laddove queste vengano usate con intelligenza. La famiglia di Katie si è dimostrata particolarmente ricca di retroscena, ma sono sicuro che scavando a fondo nella vita reale ce ne siano forse fin troppe capaci di prenderne “ispirazione”. E’ per questo che consiglio il gioco agli amanti dei walking simulator story driven, sono sufficientemente convinto che difficilmente troverete altri titoli in grado di competere con Gone Home.

Gone Home
Gone Home – Recensione
MODUS OPERANDI: Ho giocato a Gone Home grazie ad un codice gentilmente offerto dal publisher. Dopo aver finito il gioco con una run abbastanza superficiale mi sono reso conto che il titolo richiede estrema dedizione per essere compreso e, di conseguenza, apprezzato. Al secondo giro ho cercato di non farmi sfuggire niente, rendendomi conto del vero valore del gioco, che consiglio caldamente agli amanti del genere!
PRO
CONTRO
8.4
mamma, papà, dove siete?