Lydia

Lydia – Recensione

Lydia è un progetto piuttosto peculiare e intimo. L’idea prende spunto dalle esperienze vissute durante l’infanzia da uno degli sviluppatori del gioco e si limita infatti a raccontare una storia, non troveremo infatti particolari elementi di interazione ne innovative idee di gameplay; Lydia fa quello che il suo genere di gioco sa fare meglio: racconta una storia. In questo caso, anche se il messaggio di fondo rimane sempre chiaro, vedremo che l’obbiettivo non è stato centrato in pieno e in maniera frettolosa.

Lydia

Lydia ci racconta la storia dell’omonima bambina. Questa inizialmente sta chiacchierando sul vialetto di casa con degli amici; tutto sembra apparentemente tranquillo, ma già da questa primissima fase capiamo dalle atmosfere che permeano tutto il racconto che qualcosa non quadra; nemmeno le musiche di accompagnamento distorte, disturbanti e infauste sembrano presagire nulla di buono. Gli amici sono scherzosi, ma una dei due non manca di punzecchiare in maniera piccata la protagonista, scusandosi soltanto quando per questa è il momento di rientrare in casa. Da qui parte la vera è propria storia di questa avventura narrativa.

Lydia viene invitata dal suo amorevole padre ad andare a letto, ma dopo aver contrattato riesce ad estorcere una storia prima della nanna, a patto che questa non sia nulla di spaventoso; promessa che non verrà del tutto mantenuta, visto che la storia viene interrotta bruscamente dalla madre proprio nel momento in cui il padre sta raccontando di mostri e creature, lasciando così la povera Lydia terrorizzata nella solitudine della sua stanza.

Lydia

Già dalla sua prima entrata in scena capiamo che la figura della madre ha una forte accezione negativa, anche se ancora non è ben chiaro il perché, ma questa viene per il momento accostata in un angolo e messa da parte. Lydia quindi è sola nella sua stanza, non può scendere al piano inferiore perché “ci sono gli adulti” e si possono sentire chiaramente delle urla provenire dalle altre stanze; alla bambina non resta quindi che cercare velocemente il suo orsacchiotto di peluche senza il quale non riuscirebbe a dormire. Ma Teddy – questo il nome dell’orsetto porpora – non sembra essere da nessuna parte; dopo aver cercato in lungo e in largo trovandolo finalmente sotto il letto, Lydia sembra parlare con il peluche che le suggerisce di aprire l’armadio. Qui la ragazza trova un passaggio per quello che sembra un altro mondo e, anche se carica di paura, lo attraversa insieme all’amico.

Da questo momento in poi la narrazione diventa estremamente fumosa e carica di metafore e significati nascosti. Teddy, quello che a conti fatti era stato per anni un amico immaginario, in questo mondo prende vita e diventa reale, accompagnandola in una valle spaventosa e – a suo dire – abitata da un mostro. Un susseguirsi di figure metaforiche ma mai del tutto chiare si susseguono in un racconto ricco di traumi e disturbante, talmente ricco di salti temporali da far sembrare la prima stagione di The Witcher una storia lineare. Ora bambina, ora ragazzina, vediamo Lydia nei momenti che più hanno segnato la sua vita; tra un padre insoddisfatto e schiacciato lentamente ma inesorabilmente dalla dipendenza da alcool, una madre bipolare e anch’essa dedita alle dipendenze e amicizie cariche d’odio e difficili da reputare tali, si entra malvolentieri nei panni della giovane ragazza, sempre più colpita da situazioni al limite della sopportazione e senza reali affetti attorno a se, costretta a prendere decisioni anche gravi ed importanti pur di avere una vita che possa finalmente definirsi normale. Spesso molte figure sono però poco chiare, come lo stesso Teddy che a volte sembra una rappresentazione positiva dei genitori che Lydia crea nella sua mente, ed in altri sembra semplicemente essere la sua forza interiore, in altre le sue paure, in un percorso tortuoso e di difficile interpretazione. In fine anche la durata del titolo, di circa un’ora e mezza, non permette di immedesimarsi abbastanza in profondità nella storia e nella psiche dei personaggi, lasciando in sospeso tanti dubbi ed interrogativi, per un finale dal sapore piuttosto agro.

Lydia

La parte interattiva del gioco, come accennato già prima, non rappresenta il fulcro dell’opera, ma è tutto nella norma visto l’impronta fortemente narrativa del genere. La piccola avrà modo di interagire con pochi e determinati oggetti e personaggi presenti nelle poche ambientazioni che visiteremo, ed escluse alcune brevissime parti – forse una sola a dire il vero – quello che faremo sarà parlare con altri personaggi. I dialoghi ovviamente rappresentano la base della storia ed avremo modo di reagire in maniera differente in base agli input che riceveremo, mostrandoci incuriositi, spaventati, irritati o indifferenti; questo modificherà senza dubbio la forma dei vari discorsi, ma il fulcro rimane sempre lo stesso ed il finale sarà sempre lo stesso. D’altronde basandosi su una storia vera di chi, fortunatamente, è riuscito a lasciarsi alle spalle tutto il passato, non potrebbe essere altrimenti.

Anche se non particolarmente elaborato, quello che sicuramente colpisce è il lato artistico di Lydia. Nell’opera infatti tutto è rappresentato come se un bambino stesse disegnando i propri ricordi per riviverli su carta sottolineandone il dolore con l’assenza quasi totale di colore; una sorta di catarsi per esorcizzare il proprio dolore ed allo stesso tempo fare chiarezza sul passato. Questo è anche uno dei numerosi casi in cui la necessità fa virtù; la mancanza di un budget adeguato ha costretto la produzione ad utilizzare tecniche basilari, persino nelle animazioni lente ed estenuanti, ma che ancora una volta ci fanno immedesimare ancora di più nei piccoli passi di una bambina che vive in un mondo fin troppo crudele, accompagnandoci con musiche che trasmettono tutto il malessere e il disagio di cui è pregna l’opera.

Lydia

E’ inutile nascondersi dietro un dito, è davvero molto improbabile che acquisterete Lydia per i suoi meriti ludici o i prodigi tecnici. Ma se amate le storie profonde, in molti momenti anche difficili da sopportare, portate su schermo con un metodo piuttosto sperimentale in un titolo dal budget decisamente basso. Oltretutto la possibilità da fare una piccola donazione alla fondazione Fragile Childhood giustifica ampiamente i quattro euro più uno necessari per l’acquisto del gioco più DLC, che nel titolo permetterà di colorare i mostri con colori vivaci e più consoni all’infanzia. Un’opera di bene portata avanti da Nakana.io e Platonic Partership che costa davvero poco.

Lydia
Lydia – Recensione
PRO
Si sostiene una buona causa
Artisticamente intrigante e disturbante
Ci vuole coraggio per raccontare questa storia...
CONTRO
Interazioni ridotte al minimo
Dura veramente poco
... Ma in maniera frettoloso, quasi avendo paura di ricordare.
7
Il mostro nell'armadio