Return to Monkey Island

Return to Monkey Island – Recensione

Tra le rovine del tempo delle avventure grafiche “punta e clicca”: il ritorno roboante di Guybrush Threepwood, un temibile pirata, in quel di Monkey Island…

Return to Monkey Island
Data di uscita
19/09/2022
Versione testata
Nintendo Switch
Sviluppatore
Terrible Toybox
Publisher
Devolver Digital
Genere
Avventura / Rompicapo
Lingua
Disponibile in Italiano
Il nostro Punteggio
9.2
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Ahoy, per mille grog! Navigando ormai fuori rotta verso una terra ignota, lontana dalla civiltà industrializzata: nelle profondità dei Caraibi, a ridosso dell’isola Mêlée. Trepidazione, mistero, turbamento. Sul mare, adagiata sul manto bagnato e accompagnata dalla lieve litania delle onde, una bottiglia di rum con all’interno una pergamena avvolta in uno straccio. «Scrivo con molta fatica, allo stremo delle mie capacità cognitive (a causa di qualche bevuta di troppo), questa importante lettera, affinché chiunque possa leggerla e scoprire cosa si cela in quei luoghi così insidiosi e pericolosi. […] Non è chi dice di essere. Ha ingannato persino me, dopo averlo accolto nella mia umile dimora a seguito di una tempesta alquanto inaspettata. Deve aver sentito di una strana spedizione, poi andata in malora… Ah, che sciocchezza! Non può seriamente recarsi in quel luogo solo perché vuole “inseguire il proprio destino” e battere sul tempo il suo acerrimo nemico. Non sarebbe stato più semplice convincere il trio dei pirati di Mêlée e farsi dare qualche soldo in più? […] Ho capito di dover combattere le avversità previste dall’inverno con un maglione caldo. Ehm, scusate: sto divagando, ma certe informazioni vanno dette. Dove eravamo rimasti? Sì, proprio quel Threepwood, insieme a quelle strane persone, ha deciso di inseguire una teoria del tutto inesatta. Il Segreto di Monkey Island? Cosa sarebbe, un formaggio, per caso? […] Concludo la mia lettera aperta alla cittadinanza, confermando quanto sopra, perché trovo che per giungere in tale luogo sia necessario avvicinarsi il più possibile al sentiero sopracitato. Nemmeno mille bottiglie di grog possono sopportare tale impellenza: non potevo tenermi per me un segreto così grande… è fuori dalla mia portata. Perdonate l’alternanza delle mie parole, però tra pirati funziona così. Addio!»

Una lettera che offre diversi spunti di riflessione, ma che richiede comunque una particolare conoscenza dei temi trattati (come il mondo dei pirati e dei punta e clicca) per riordinare la situazione e comprendere cosa sia accaduto al temibile pirata. Ciò predispone il terreno per un’ardua riflessione, ovvero: chi tra di voi conosce The Secret of Monkey Island? La prima metà degli anni novanta vide un fiorire di avventure grafiche “punta e clicca” monopolizzare il mercato videoludico dei personal computer. Un’epoca davvero sperimentale e incredibile (per coloro che vissero in quegli anni), dove da un lato si poteva trovare l’ampio spettro di videogiochi arcade su cabinato (coin-op) e dall’altro le console da casa pronte a spodestare qualunque forma di intrattenimento al di fuori di essa. Uno scontro titanico che ha permesso le console di prevalere su tutto il resto, arrivando ai giorni nostri con l’attuale next-gen composta da Playstation 5 e Xbox Series X | S. Tuttavia non è di console che si parla in questo frangente, bensì di PC e floppy disk. La celebre casa di sviluppo LucasArts è rinomata per avventure del calibro di Grim Fandango, Maniac Mansion o appunto la saga di Monkey Island.

I primi due capitoli della saga di Ron Gilbert (autore tra l’altro del recente Thimbleweed Park) con tema i pirati presero forma su piattaforma SCUMM, un’applicazione di sviluppo e supporto dei videogiochi punta e clicca concepita in seno della LucasArts (con la collaborazione diretta di Gilbert, in quanto sviluppatore e autore), all’epoca della stesura di Maniac Mansion. Mostrava i rudimenti di un’interfaccia grafica molto vecchio stile, quasi arcaica a rivederla adesso; eppure nel suo piccolo nascondeva una tecnologia sbalorditiva, capace di rendere una narrazione testuale puramente interattiva e con personaggi in movimento su schermo. Sono trascorsi ben trent’anni dall’ultimo passo dell’autore originale condotto nel mar dei Caraibi. Un ritorno che in molti attendevano con trepidazione, altri quasi ormai persi d’animo; ed invece, come un fulmine al ciel sereno, il publisher Devolver Digital e Terrible Toybox (software house di Ron Gilbert) annunciano nel corso di un Mini Nintendo Direct l’arrivo quest’anno di Return to Monkey Island. Un capitolo che sancisce il ritorno di Guybrush Threepwood e delle sue rocambolesche avventure, dopo l’esperienza un po’ controversa di Tales of Monkey Island nel 2009. Il comparto artistico delle prime avventure fu curato da Steve Purcell, autore della serie di Sam & Max, che introdusse delle forme alquanto bizzarre dei corpi umani e degli ambienti con uno stile lievemente caricaturale; elementi che ancora adesso contraddistinguono la saga per genialità e bellezza stilistica. Lo stesso protagonista possiede una genesi alquanto brillante, di cui viene introdotta dal suo nome così pittoresco e inequivocabile. Al seguito dell’annuncio del ritorno di Monkey Island, si sono susseguite da lì a poco delle vicende decisamente spiacevoli, che vedevano il pubblico contrapporsi all’autore originale per la scelta stilistica adottata in questo nuovo capitolo. Avremo modo di argomentare successivamente di questo aspetto, ma ciò che risulta lampante è la volontà da parte del creativo di sentirsi libero di adottare per il proprio prodotto tutto quello che ritiene più consono, senza dover riceve a priori sfiducie di tale portata; è sempre meglio criticare (in maniera positiva o costruttiva, mai aspramente) con cognizione di causa, soprattutto dopo aver provato il gioco e aver sedimentato un’opinione. La storia dell’isola delle scimmie prosegue e chissà se il suo segreto verrà una volta per tutte svelato in quest’ultima iterazione. L’uscita dell’avventura grafica è prevista su Nintendo Switch e PC dal 19 settembre 2022. Scopriamo senza ulteriore indugio di cosa si tratta in questa nuova, approfondita e piratesca recensione.

Return to Monkey Island
Sì, è proprio lui: il nostro amato Guybrush. L’avventura continua…

Un racconto memorabile – Il confronto tra passato, presente e futuro

Tutto ha un inizio. Che sia piacevole o meno, c’è sempre un “la storia ebbe inizio…”. Il racconto di Monkey Island è terreno fertile per coloro che amano le avventure intriganti, divertenti e con una buona dose di sarcasmo alle spalle, tipica tra l’altro dei punta e clicca nati dal connubio Ron Gilbert e Dave Grossman. L’arcipelago immaginario situato nei Caraibi, soprannominato Area delle tre isole, è colmo di riferimenti alla cultura piratesca dell’età dell’oro, presumibilmente dal 1600 in poi. Ogni personaggio presente nella saga trasuda ironia, spensieratezza e goliardia; un misto perfetto per chi vuole godersi l’avventura senza troppi pensieri, con molta e astuta leggerezza. Return to Monkey Island mostra con estrema fierezza le sue origini, il passato da punta e clicca su piattaforma SCUMM; un esempio alquanto intrigante è il nome del pub frequentato dai pirati dell’arcipelago, lo “Scumm Bar”. Insomma, il passato in questo caso non viene assolutamente rinnegato, bensì valorizzato anche da un comparto narrativo piuttosto minuzioso. Chiunque sia lontano anni luce dalla saga di Ron Gilbert può tirare un sospiro di sollievo, poiché oltre al dover recuperare necessariamente i primi capitoli di una storia leggendaria è presente sin dall’inizio del gioco un albo dei ricordi, dove viene spiegata sotto forma di diario di bordo e attraverso il protagonista con tanto di immagini a corredo gli eventi passati. Stesso identico sistema adottato dal gioco di Tim Schafer, in Psychonauts 2. Così da non allontanare il fan smemorato o l’ultimo giocatore arrivato: tutto ciò prende il nome di inclusività, quindi un plauso a Gilbert per la trovata affine a quella adottata dall’amico di Double Fine. La storia di Return to Monkey Island è comunque legata in maniera indissolubile al suo passato, ma mostra anche qualcosa di inedito che all’epoca non era stato menzionato o solamente abbozzato per esigenze tecniche/narrative. Il compito di Ron Gilbert, e di conseguenza di Terrible Toybox, è quello di dare continuità ad una saga interrotta per troppo tempo e di cui purtroppo solo la vecchia guardia conosce a menadito. I giovani videogiocatori non sono avvezzi alle avventure grafiche, poiché richiedono un ragionamento alquanto distante dalla tipologia di giochi attualmente in auge in classifica. Riuscire dunque a mitigare questo specifico particolare, però senza snaturare l’essenza stessa da punta e clicca è un’impresa più che ardua. Bisogna per ovvio di cose dare onore al merito al publisher per aver creduto in un progetto davvero allettante, ma altamente rischioso. Eppure in Devolver c’è questa strana (anche se corretta, in fin dei conti) perversione verso i titoli bizzarri e con delle idee stravaganti dietro.

Guybrush è lo stesso di sempre: enigmatico, pieno di vita e quasi sempre distratto. Un protagonista iconico che viene apprezzato per il suo modo di esaltarsi per le piccole cose o per le battute ingenuamente devastanti. Le avventure fanno parte di lui, senza di esse equivale a spogliare dai propri aculei un riccio. Gli eventi del ritorno di Monkey Island non sono troppo distanti dalla fine di LeChuck’s Revenge, ma presumibilmente ambientati dopo Tale of. Il titolo ha inizio con un piccolo bambino biondo, molto simile al protagonista Threepwood, giocare in maniera scanzonata con il suo amico di nome Chuck. Entrambi vagano per una piccola città, alla ricerca di scherzi da fare e dei propri genitori. Importunano una coppia, fingendo di essere i loro figli, deliziano il loro palato con pietanze che sembrano composte nella sabbia e disturbano un vecchio pirata appisolato sul proprio balcone di casa. La somiglianza con i due personaggi principali della saga è abbastanza immediata. Un prologo che introduce i rudimenti delle avventure grafiche, come ad esempio eseguire più azioni diverse, combinare oggetti tra di loro e dialogare. Raggiungono dopo poco tempo uno dei genitori… ebbene sì, esattamente lui: Guybrush. Con il solito entusiasmo di sempre e una barba più incolta, racconta al piccolo Threepwood la storia di quando scoprì il segreto di Monkey Island. L’intrepido viaggio verso l’arcipelago nei Caraibi viene intervallato da colpi di scena inaspettati. La dolce metà del protagonista, Elaine Marley, non è più la governatrice dell’isola di Mêlée. Spogliata dai suoi possedimenti, adesso è alla ricerca di un’alternativa più che valida per aiutare il popolo pirata a non scomparire. Le classiche botteghe chiudono i battenti per bancarotta, le mura sono trafitte da graffiti indelebili che fanno palpitare il cuore del giovane biondo. Una strana e attanagliante malinconia ha preso possesso del luogo famigerato, il porto di mille battaglie piratesche. Una nuova generazione di contrabbandieri adesso siede nel retro dello scumm bar. Le tradizioni vengono dunque infrante, distrutte e il povero Guybrush ne risente. Tuttavia il suo intento primario è quello di accaparrarsi una nave e salpare alla volta dell’isola scimmia, prima che il fantasma LeChuck possa raggiungerla con una nuova e spietata ciurma. Ad aiutare il temibile bucaniere in cerca di un veliero (anche da rubare, non importa) l’incorreggibile e divertente Stan, la dolce Elaine e il sagace teschio parlante Murray. La traversata verso l’isola più ambita dai pirati è surreale, preziosa e decisamente divertente. Il gruppo dovrà affrontare oscuri presagi, terre ghiacciate e anfratti spaventosi.

L’originalità – con un pizzico di follia, ingrediente fondamentale – che ha sempre contraddistinto le opere di Ron Gilbert è presente anche in quest’ultimo capitolo. I tanti giochi di parole regnano sovrani: alle volte, se lontani dalla saga da diversi anni sarà veramente difficile stare dietro ai tanti riferimenti al passato e alla cultura videoludica in generale. Eppure Return to Monkey Island lungi dall’essere un’avventura caotica e confusionaria. Riesce a mettere ogni tassello narrativo al suo posto, suddividendo l’opera come si confà, ovvero tramite i capitoli. La trama è in continua sospensione tra realtà e finzione, e su questo non c’è alcun dubbio. Non ci sono momenti morti, a meno di non soffermarsi ulteriormente a parlare con qualcuno, avviando sempre lo stesso dialogo (insistere porta sempre a qualcosa, ricordatelo). Oltre al preludio nel presente, il gioco si alterna in ben cinque corpose parti, ognuno con qualcosa di particolare da mostrare. Il titolo presenta un’ottima caratterizzazione dei personaggi, sia vecchi che nuovi. Anzi, è possibile osservare una leggera sfumatura in positivo, sicuramente dettata dalla maturità ottenuta della saga in questi lunghi anni. I dialoghi non sono mai casuali, anche se possono sembrare troppo strampalati e goliardici; questo è comunque un tratto distintivo dell’opera, impossibile da scindere. La storia pone l’accento sulla rivalità tra Guybrush e LeChuck, in un poutpourri piratesco decisamente grottesco e ammaliante. Il desiderio nei confronti dell’isola delle scimmie e del suo relativo segreto è troppo forte per entrambi. L’avventura grafica è localizzata in lingua italiana, il doppiaggio – davvero coinvolgente e ben fatto – invece è solo in inglese (con cast originale). La longevità è piuttosto soggettiva, come in ogni punta e clicca. Tuttavia il contenuto medio dell’opera si aggira sulla decina d’ore; possono essere aggiunte altre tre o quattro ore per il completismo (davvero consigliato). Il finale è assolutamente sbalorditivo, inaspettato e convincente: lascia adito a molte speculazioni e riflessioni, anche se può – ne sono consapevole – far storcere il naso ad alcuni per quanto travolgente e volutamente divisivo. Esistono inoltre vie conclusive alternative: ma qui è il caso di dire, a voi la scoperta.

Return to Monkey Island
Tanti bei ricordi…

Il mistero di Monkey Island – L’equilibrio tra modernità e nostalgia

L’effetto sorpresa è quindi un elemento fondamentale per le avventure grafiche. Eppure per ogni appassionato di punta e clicca sa perfettamente che senza gli enigmi non può esserci opera che tenga. La trama di Monkey Island riveste un ruolo significativo, ma è il gameplay creato da Ron Gilbert a destare maggior interesse. Il ritorno di Guybrush è il perfetto connubio tra modernità e nostalgia, perché incontra sia la componente classica dei punta e clicca, dunque con elementi presenti nello scenario interattivi, che un guizzo di genialità del tutto nuova; quello sprazzo di novità che riesce a rendere il gameplay decisamente più assuefacente anche per uno storico giocatore. Uno stile godibile, adesso più agevole e permissivo; il protagonista può muoversi tranquillamente, senza meno costrizioni di sorta dovute dal motore grafico. Non è possibile effettuare movenze tipiche di un platform ovviamente, eppure la libertà affidata al giocatore è sicuramente più ampia. Poi su Nintendo Switch è possibile usufruire del touch-screen indicare dove andare e soprattutto cosa selezionare. Sistema di comandi davvero convincente, il meglio di ciò che si può trovare adesso; presente anche il log con tutti i dialoghi appena compiuti. Una delle conferme è la selezione della difficoltà, ora di due tipi: normale (casual) o difficile. In base a cosa si sceglie, anche gli enigmi possono prendere una piega piuttosto inaspettata. Se volete godervi la storia, allora è meglio la prima opzione. In caso contrario, sappiate che in alcuni enigmi la difficoltà cambia sensibilmente e diventano più ostici (con un grado di sfida molto convincente per i puristi). Tuttavia per i novizi o meno avvezzi alle avventure grafiche è presente un oggetto che consente allo stesso gioco, tramite un libro, di dare dei suggerimenti mirati in base al luogo in cui ci si trova. Inoltre è previsto che alcuni personaggi diano dei consigli allorquando si passa troppo tempo tra un passaggio e l’altro. La complessità degli enigmi anche nella modalità casual è molto buona: non è una condizione automatica, comunque non sono né difficili, né facili da risolvere. Il giusto compromesso tra divertimento e stucchevolezza, segno di un level design ottimo e minuzioso. L’interfaccia è molto essenziale: l’icona degli oggetti è posizionata in basso a sinistra, mentre il resto è abbastanza intuibile e facile da raggiungere sia con i Joy-Con che con il touch.

Le azioni convenzionali (esamina, usa e altro) sono state sostituite da un sistema di controllo più abbordabile per chiunque, e soprattutto adatto all’attuale generazione di videogiocatori. Quando si raggiunge un punto di interesse, appaiono dei cerchi intorno agli oggetti/personaggi di cui il protagonista vuole rivolgere il proprio sguardo. Sono presenti più voci, come quella ad esempio di agire rispettando il temperamento del personaggio di fronte. Il sistema riconosce quali sono le azioni possibili da fare e le mostra su schermo, senza troppi patemi d’animo. Può sembrare un meccanismo più semplice, meno classico, però non abbiate timore: in alcuni frangenti non è per nulla intuibile quale oggetto usare o cosa toccare per prima. Sono di più in questo titolo le scelte morali, in cui una volta fornite delle risposte si modifica anche la stesura dei dialoghi a seguire. Con i tasti dorsali è possibile passare tra un punto e l’altro d’interesse, agevolando così il movimento dell’analogico su schermo. I puzzle di Return to Monkey Island sono efficaci e ottimi, dove l’arguzia svolge un ruolo cruciale. Un gameplay divertente, efficace e che si rifà a qualcosa di classico, ma senza disdegnare un pizzico di modernità.

Return to Monkey Island
Una miriade di riferimenti al passato e al recente presente della saga.

L’arcipelago degli intrighi – Ron Gilbert torna in scena: che sia l’ultima?

Lo stile grafico rinnovato offre uno spunto di riflessione sul cambiamento ambientale e scenografico non del tutto radicale, come invece alcuni decantano con veemenza. La veste grafica è molto più cartoonesca, sempre molto deformata, e con un carattere alquanto convincente. Le movenze dei personaggi vengono enfatizzate da questa sorta di caricatura con colori saturi piuttosto marcata, diversa da ciò che i primi affezionati della saga ricordano. La pixel-art avrebbe sicuramente rispettato i “canoni”, eppure questo stravolgimento è molto in linea con la trama e l’andamento previsto dal gioco. Una direzione artistica distintiva e ben focalizzata, oltre a rendere immediatamente riconoscibile questo titolo rispetto ad altri videogiochi più blasonati. In più rispecchia l’idea originale dell’autore, convincendo in primis quest’ultimo. Una scelta molto coraggiosa che mi sento di appoggiare a pieno. Una volta provato il gioco, quell’aspetto “da burattino” intravisto da molti nei trailer sparisce immediatamente. Su Switch l’effetto è strabiliante, perfino in modalità portatile. Non può riscontrare i gusti di tutti, eppure la componente visiva – come in molti sanno – è solo una parte di un videogioco. Grazie al comparto tecnico fenomenale ed affidabile, con una qualità decisamente buona delle texture e un frame-rate stabile, ogni dubbio svanisce. A fare da corredo, unendo l’arte con il gameplay e la narrazione una colonna sonora meravigliosa. A contribuire alle ottime tracce musicali, un cast di musicisti d’eccezione: a lavorare come compositori, gli storici autori delle prime musiche, ovvero Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian. Insomma, anche il comparto musicale sembra stellare e travolgente.

Return to Monkey Island
Un punta e clicca un po’ classico, un po’ moderno: il giusto compromesso per divertirsi.

In conclusione, Return to Monkey Island di Ron Gilbert (Terrible Toybox) e Devolver Digital è un’avventura grafica punta e clicca davvero fenomenale e meravigliosa. La tanta attesa è stata ripagata da un titolo decisamente divertente, con una componente narrativa molto approfondita, però mai troppo focalizzata su di essa; riesce a staccare il videogiocatore dalla quotidianità, portandolo in un mondo meraviglioso e pieno di dettagli. Un affresco moderno di un gioco che si rifà ad uno dei capostipiti delle avventure grafiche della LucasArts. Un sequel che innesca nostalgia, familiarità e innovazione. Riesce a tenere incollato il videogiocatore per più di una decina d’ore, offrendo diversi spunti di riflessione davvero importanti e centrando il punto quasi sempre. Il finale può sembrare divisivo, eppure è ciò che per adesso rispecchia l’idea del creativo e lo fa con un gioco meraviglioso, amorevole e colmo di passione. La scelta della difficoltà aggiunge qualcosa di prezioso, rendendo l’opera molto più inclusiva. Inoltre sono presenti consigli, recap e tanto umorismo. Il ritorno di Monkey Island è disponibile per il 19 settembre 2022 su console Nintendo Switch e PC al prezzo di 24.99 euro. Il rapporto qualità-prezzo è convincente, affidabile. Si tratta di un degno sequel che riporta in auge la passione verso le avventure grafiche, con un pizzico di coraggio e follia che non sembra guastare assolutamente. Non perdetevi in alcun modo questa perla, poiché merita veramente tanto. Ron, grazie per quello che hai fatto e continuerai a fare.

Return to Monkey Island
Return to Monkey Island – Recensione
PRO
Trama meravigliosa, imponente e gradevole da seguire...
Ambientazione ed atmosfera travolgente;
Un ritorno ai vecchi fasti delle avventure grafiche di Ron Gilbert;
Caratterizzazione dei personaggi ottima;
Doppiaggio in inglese coinvolgente, disponibile anche con una buona traduzione in lingua italiana;
Gameplay decisamente divertente: pieno di enigmi e due livelli di difficoltà;
Comparto artistico ottimo: rientra perfettamente nello stile di Monkey Island.
CONTRO
... anche se il finale può sembrare molto controverso;
Qualche enigma in più non avrebbe guastato.
9.2
Entusiasmante e ironico come sempre!
Redattore