Bubble Heroes

Intervista ad Andrea Morolli: la testimonianza di un ex sviluppatore di videogiochi del periodo Amiga

Quella tra me ed Andrea è un’amicizia nata sul Miiverse di Wii U circa cinque anni fa. Un bellissimo social network creato da Nintendo ed interamente dedicato ai videogiochi, ma che purtroppo come per tutte le cose belle, non ha avuto un seguito. Fortunatamente le amicizie nate sul Miiverse si sono dimostrate più longeve dei progetti social di Nintendo, proseguendo tuttora con un gruppo WhatsApp avente in copertina l’indimenticabile logo verde del Miiverse e dove quasi giornalmente io, Andrea ed altri amici, chiacchieriamo e ci confrontiamo sulle principali notizie del momento in ambito videoludico. Tra uno scambio d’opinioni e l’altro, Andrea mi ha proposto di fare da beta tester al porting su PC di Bubble Heroes, un suo vecchio gioco per Amiga che ha riesumato dal suo passato di ex sviluppatore di videogiochi. Ovviamente ho subito accettato proponendogli a mia volta le domande di questa intervista, in modo da ottenere una testimonianza di chi ha vissuto il periodo Amiga dal punto di vista dello sviluppo di videogiochi. Un periodo dove tengo particolarmente nel ricordare a tutti la “totale assenza di internet”, dove il mezzo di comunicazione a distanza più tecnologico era il telefono Bigrigio di casa con “l’iconica rotella dei numeri” (offerto a noleggio dall’unico operatore telefonico SIP) e dove per informarsi sui videogiochi bisognava passare fisicamente dall’edicola ed acquistare una rivista “di carta”.

Prima di procedere con le domande, ecco un nostro video gameplay del gioco Bubble Heroes in esecuzione su PC grazie al porting realizzato da Andrea (nessuna emulazione è un vero port):


Iniziamo con l’intervista! Ciao Andrea, raccontaci qualcosa su di te e cosa ti ha portato a diventare uno sviluppatore di videogiochi e cosa poi ti ha fatto cambiare strada.

Ho 48 anni e mi occupo di informatica professionalmente da circa 25 anni (da 16 anni come sistemista e precedentemente come programmatore). Ho imparato a programmare come autodidatta a partire dal Commodere Vic20 quando avevo 11 anni per poi, finito il liceo, frequentare informatica all’università di Bologna. La mia vita “cambiò” alla visione di Space Invaders nelle sala giochi estive di Rimini e, non so esattamente il perché, decisi che anch’io avrei dovuto essere in grado di creare videogiochi… una sorta di fissazione che mi ha portato poi a fare di fatto quel lavoro… lavoro che ad un certo punto ho scelto di abbandonare per l’impossibilità (al tempo) di riuscire a farlo con soddisfazione e adeguato compenso economico qui in Italia… non me la sono sentita di lasciare questo Paese come hanno fatto alcuni colleghi.

Quello che ho subito notato avviando Bubble Heroes è l’assenza di riferimenti a chi ha sviluppato il gioco. Questo perché forse il gioco da me provato è una tua recente conversione per PC Windows o semplicemente nell’epoca Amiga non era necessario fondare una software house, riuscendo comunque a distribuire il proprio gioco in formula amatoriale o indipendente?

La versione che hai provato è effettivamente una mia recente rielaborazione di una conversione per PC effettuata a suo tempo da uno dei membri del team (Rossano Clementi)… i loghi iniziali del publisher e del nostro gruppo di sviluppo sono stati volontariamente tolti… però decidemmo di mettere i nostri nomi solo nei titoli di coda, scelta in effetti piuttosto naive per la quale non so darti un’effettiva spiegazione! All’epoca di Amiga non era magari necessario fondare una software house (con annessa partita IVA) per sviluppare un gioco (eravamo mediamente piuttosto giovani e lavoravamo ai giochi nel nostro tempo libero dagli studi o dal lavoro) ma, al contrario di oggi, l’autoproduzione e distribuzione era pressoché impensabile… salvo qualche tentativo sul finire degli anni ‘90. In generale si passava sempre attraverso una software house o un publisher che riteneva idoneo il tuo gioco per poter effettuare la stampa di dischetti/CD e manuali e la conseguente distribuzione. Non esisteva alcuna forma di distribuzione digitale né esistevano realtà come Steam, per cui anche volendo era sostanzialmente impossibile autogestire la vendita del gioco… e comunque arrivare a pubblicare un gioco era piuttosto difficile.

Come si chiamavano le software house con la quale hai lavorato? Erano aziende in società tra tutti i componenti o ne eri titolare o dipendente? Dei tuoi vecchi team c’è chi continua ancora oggi a sviluppare videogiochi?

Il nome del nostro team, per quel che riguarda Bubble Heroes, era Arcadia Developments ed era unicamente nominale, non vi era una società regolarmente dichiarata (sarebbe arrivata poi, se le vendite e i ricavi avessero dato un senso alla cosa)… quindi di fatto l’investimento monetario era stato personale per quel che concerneva i vari membri del team (ognuno col suo computer ed equipaggiamento necessario). La software house che decise di pubblicare Bubble Heroes fu Crystal Software, una piccola software house inglese che poi fu assorbita da una società che esiste ancora e si chiama Virtual Programming. Successivamente invece ho lavorato in una software house italiana di nome Atlanteq della quale ero collaboratore freelance… in tre anni abbiamo realizzato un motore proprietario e relativi tool di sviluppo e commercializzato (mediante vari publisher tra cui Koch Media) il videogioco “Steel Saviour” per PC. Dei miei vari compagni di avventura nessuno lavora più nel mondo dei videogiochi (che io sappia). L’unico che ha fatto un’ottima carriera, più duratura della mia e degli altri, è stato Marco Salvi, che mi affiancò nella programmazione di Bubble Heroes, il quale ha lavorato in Playstos (società milanese), Ninja Theory (dove ha sviluppato il motore di Heavenly Sword per PS3), Lucas Arts e poi è finito prima in Intel e adesso da un po’ di anni in Nvidia (sarebbe senz’altro un intervistato più interessante di me!).

Bubble Heroes è chiaramente ispirato a Puzzle Bobble di Taito. Cosa vi ha spinto nel replicare un titolo da sala giochi tanto famoso?

Vari fattori… in primis la mancanza di un Puzzle Bobble per Amiga, poi la grande passione che avevamo al tempo per i giochi in stile anime. Io avevo programmato (come esperimento) un clone di Tetris che girava sul vecchio Atari ST e così ci imbarcammo, in modo del tutto naive, in quello che doveva essere una cosina fatta in poco tempo e divenne un progetto relativamente titanico (visti i nostri scarsi mezzi). Produrre un gioco completo, giocabile, senza particolari bug vi posso assicurare che è un task davvero complicato… spesso si comincia con grandi idee ma poi non si va a finire da nessuna parte. Credo che di giochi iniziati, ma mai completati sia pieno il mondo, soprattutto in quel periodo storico.

In quel periodo la pirateria era talmente diffusa da sembrare la normalità. Le vendite di un Bubble Heroes erano tali da giustificarne le spese di produzione e allo stesso tempo portare uno stipendio a casa?

La risposta è: dipende.
In questo settore il tempismo è molto importante… dando per assodato di avere le capacità tecniche e artistiche di poter costruire un prodotto finito che sia di livello professionale, è fondamentale saper offrire il giusto gioco sulla giusta piattaforma nel momento giusto. Noi purtroppo siamo partiti troppo tardi su Amiga (la piattaforma stava già cominciando a perdere trazione quando iniziammo a progettare il gioco) e abbiamo impiegato troppo tempo a sviluppare Bubble Heroes… di conseguenza abbiamo avuto un buon riscontro della stampa e di chi ha comprato il gioco, ma i guadagni sono stati assolutamente non proporzionali a quanto lavoro abbiamo impiegato (per usare un eufemismo). Avessimo fatto uscire il gioco 2/3 anni prima credo che la storia sarebbe stata un po’ diversa. Non che fosse poi chissà quale problema… non avevamo capitali né investimenti e Bubble Heroes andava visto nella prospettiva del primo gioco commerciale sul quale poi costruire altri prodotti più velocemente ed efficacemente (avendo il know how e gli strumenti)… dopo Bubble Heroes però ognuno ha preso la sua strada e l’esperienza Arcadia Developments non è andata avanti.

Da alcune nostre chiacchierate ricordo una tua teoria con la quale sostenevi che gli sviluppatori veramente in gamba si sono formati proprio nel periodo Amiga, mentre oggi con gli attuali sistemi operativi è meno probabile che un giovane sviluppi un talento di altissimo livello nella programmazione. Ritieni ancora valida questa tua teoria e se si, per quale motivo?

Il discorso è piuttosto complesso… nella nostra chiacchierata mi riferivo alla situazione italiana in confronto a situazioni ben più floride di altri paesi europei (praticamente quasi tutti, purtroppo). La mia personale teoria riguarda il mancato supporto scolastico, culturale ed economico in Italia nel periodo 8 bit e soprattutto 16 bit… mentre nel Regno Unito, in Germania, in Francia, in Scandinavia e addirittura in Spagna, sorgevano realtà artigianali di sviluppo videogiochi e di demo tecniche (la famosa “demo scene Amiga” della quale facevano parte, ad esempio, gli odierni Shin’en) portate avanti spesso da ragazzi di 18/20 anni che hanno avuto modo di fare sistema e sviluppare delle notevoli capacità di coding (programmare per macchine limitate come il Commodore 64 o il Commodore Amiga necessitava di una preparazione tecnica notevole e di una comprensione precisa di come funzionava l’hardware in tutto e per tutto), qui in Italia chi usava il computer ed era appassionato di videogiochi era un po’ ghettizzato… eravamo in pochi e per nulla supportati da nessuno. Nessun investimento, nessun tipo di riconoscimento… essere completamente assenti in un periodo in cui l’industria del videogioco stava cominciando a divenire qualcosa di tangibile, ci ha completamente fatto perdere il treno di questo mondo in costante crescita. Per dire… quelli che oggi conosciamo come DICE (sviluppatori dell’attuare serie Battlefield di Electronic Arts), erano 4 ragazzi svedesi in una stanza che producevano (straordinari) giochi di flipper su Commodore Amiga (Pinball Illusions per esempio), il cuore di blasonati team come Naughty Dog è formato da quelli che allora erano ragazzi e sviluppavano (sempre su Amiga) uno dei migliori software di painting (Brilliance, ampiamente usato per sviluppare Bubble Heroes)… ecco, storie come queste in Italia praticamente non ne abbiamo conosciute. Talenti ne abbiamo avuti (e ne abbiamo) tanti… manca tutto il resto. Se nessuno ti supporta, se la società in cui vivi pensa che sei un povero sfigato e che i videogiochi son robe da bambini, beh… non si va da nessuna parte.

Quale pensi sia l’eredità che Amiga ha lasciato alle console (o ai PC) delle successive generazioni? (Ammesso che ci sia stato un reale e concreto passaggio di eredità).

Intanto non tutti sanno che l’hardware di Amiga era nato allo scopo di creare una console per videogiochi… con la brusca fine della prima età dell’oro dei videogiochi (cominciata con il tonfo di Atari con il videogioco ET) e il buon successo dell’home computing di Commodore 64 e ZX Spectrum, Commodore comprò la società che stava sviluppando Amiga per ottenerne un rivoluzionario computer. L’eredità di Amiga a livello di sistema operativo e hardware si è quasi completamente persa… era un’architettura molto peculiare (sfociata poi in parte nell’Atari Lynx) che divenne poi anacronistica e non venne portata avanti. L’eredità di Amiga è legata a tutte quelle software house europee che nel passaggio da 8bit a 16bit divennero società più strutturate e cominciarono a produrre veri e propri best seller (come ad esempio Lemmings e Sensible Soccer)… non tutti, ma alcuni di questi portarono queste esperienze poi nel mondo PC e console diventando vere e proprie aziende.

Negli anni ‘80 erano in pochi a conoscere i computer, ritenuti macchine per soli cervelloni, eppure l’Amiga 500 e 600 si sono diffusi molto rapidamente. Cos’è che ha reso Amiga così popolare ed apprezzata in Italia e nel mondo?

A conoscere i computer nel loro funzionamento e approcciare alla programmazione erano in pochi… del resto non c’era il livello di scambio di informazioni che c’è oggi. Io per imparare a programmare in assembler sul processore di Amiga dovetti ordinare un libro che veniva spedito direttamente dall’Inghilterra… ci volle un mese ed era tutto in inglese (costo 50mila lire… immaginate per l’epoca). Detto questo, infilare un dischetto nell’Amiga e accenderlo per caricare in auto-boot un gioco e giocarlo era una cosa semplice che sapevano fare un po’ tutti… Amiga si diffuse abbastanza bene (anche se in Italia non credo abbia raggiunto i numeri di Commodore 64). Si diffuse perché era un computer relativamente economico e con capacità audio/video completamente fuori scala per l’epoca. Grazie a questo aspetto giravano tantissimi giochi, alcuni dei quali davvero rivoluzionari e con contenuti audiovisivi molto all’avanguardia… i videogiochi sono sempre stati un fattore determinante nella diffusione dei computer. Inoltre Amiga aveva anche un sistema operativo straordinario (già multitasking in un’epoca in cui né Windows né MacOS lo erano)… ma questo in pochi lo sapevano. Si infilava il dischetto del gioco e via…

Suppongo che un ventenne che oggi studia informatica se messo difronte ad un Amiga avrebbe difficoltà anche nell’accendere la macchina. Com’era sviluppare videogiochi negli anni ’80 e quali strumenti odierni vi avrebbero fatto comodo?

Forse accenderlo non sarebbe un problema, ma poi la macchina era strutturata in modo un pochino diverso rispetto a un PC di oggi… già c’è differenza tra un Amiga degli anni ‘80 e uno dei primi anni ‘90… nel secondo caso parliamo già di una macchina con hard disk e con l’interfaccia del sistema operativo che parte senza doverla caricare da appositi dischetti. Per il resto si trattava di un sistema a finestre e icone come già ne esistevano al tempo… non credo sarebbe un problema utilizzarlo. Lo sviluppo era invece piuttosto complicato… io programmavo soprattutto in C e avevo un compilatore completamente in linea di comando senza alcun ambiente di sviluppo integrato… il debug lo si faceva spesso a suon di “printf”, un comando C che permetteva di scrivere su schermo o su file quello che ti pareva… ci mettevi dentro i valori della memoria e delle variabili oppure scrivevi messaggi tipo “sono qui”, “sono arrivato a questo punto”, ” la tal variabile adesso vale x”… ecc… ecc…
Poi arrivò qualche debugger che era più buggato del software che stavi sviluppando e spesso si piantava lasciandoti il dubbio se l’errore era dalla tua parte oppure era appunto il debugger che si imbambolava. Una gran confusione!
Diciamo che quando sono passato a lavorare su PC con Visual Studio mi è sembrato di stare in un film di fantascienza… soprattutto la possibilità di giocare al gioco che stavo sviluppando e fermare l’esecuzione quando qualcosa non andava, correggere al volo l’errore, ricompilare il tutto e ripartire col gioco dove ero rimasto. Anche i profiler (software che aiutano il programmatore a capire dove il suo codice è meno efficiente per poterlo migliorare) sono strumenti straordinari che al tempo non potevamo avere.

Tra i giochi da te sviluppati ce n’è uno in particolare che ti rende orgoglioso? Se sì, quale e per quali motivi?

Ho sviluppato tanti giochini amatoriali prima di arrivare al primo commerciale che è stato Bubble Heroes. Un gioco che non completai mai, ma che mi rese molto orgoglioso quando lo feci vedere nel negozio di informatica dove ci incontravamo il sabato pomeriggio per cazzeggiare, si chiamava Vexed ed era uno sparatutto verticale che stavo sviluppando con un amico. Quando lo feci vedere tutti rimasero molto impressionati e mi fecero millemila complimenti… lì capii che le capacità di fondo tutto sommato le avevo.
Di Bubble Heroes ho bei ricordi e sono contento del lavoro che siamo riusciti a fare, ma come programmatore, il motore di Steel Saviour è ciò di cui vado più orgoglioso… arrivammo a fare nel 2002 quello che oggi vediamo in molte produzioni indie che usano Unity o UE4: un 2D super avanzato possibile grazie all’utilizzo delle GPU 3D. Giochi come Hollow Knight o Ori And The Blind Forest fanno sostanzialmente quello che avevamo sviluppato da zero noi all’epoca. Quando mostrammo i primi screenshot di Steel Saviour molti si domandarono se davvero “quella roba si muoveva”… e si muoveva, si muoveva bene e a 60fps anche su schede video di bassa potenza.

Quali sono stati i tuoi maestri e mentori nello sviluppo di videogiochi? Chi ti ha influenzato maggiormente?

Direttamente assolutamente nessuno… completo autodidatta. Io e un mio amico, dal Vic20 in avanti, ci siamo sostenuti l’un l’altro per capire pian pianino come diamine programmare basandoci sul nostro buon senso e su quel poco che potevi trovare a livello di manualistica.
Idealmente invece ho assolutamente adorato alcuni autori come John Phillips (Nebulus su C64 era impressionante), David Braben (Frontier) ma soprattutto i Bitmap Brothers (o Bitmap Bros) che adoravo.

Quali sono i consigli che daresti ad un giovane che intende diventare uno sviluppatore?

Hmmm… non conosco benissimo lo stato del mercato oggi ma:

    • Bisogna essere piuttosto portati per la matematica e la logica
    • Conoscere MOLTO BENE l’inglese
    • Studiare MOLTO BENE il linguaggio C e, solo dopo averlo spolpato in tutte le sue sfaccettature e potenzialità, approcciare la programmazione a oggetti con il C++
    • Provare a realizzare versioni anche abbozzate di alcuni classici, come Pac Man o Tetris o Space Invaders, lavorando con la sola CPU per capire bene come risolvere problemi che, apparentemente, sono banali ma che in realtà si dimostrano molto più impegnativi di quel che si pensi… questi giochi dovrebbero essere realizzati senza middleware come Unity o altro… solo C, l’emulazione di una memoria video, scritture fatte con la sola CPU e poi un middleware come SDL per mostrare tutto a schermo.
    • A questo punto imparare a testa bassa a lavorare con motori come Unity e/o Unreal Engine.
    • Essere molto concretamente disposti ad andare all’estero

Qual è il tuo gioco preferito uscito su Amiga?

Mamma mia che domanda… non so esattamente cosa rispondere, sono talmente tanti. Ma vabbè, scelgo Banshee, uno sparatutto a scorrimento verticale con un bel gameplay e una grafica davvero notevole.

Cosa pensi del panorama videoludico odierno?

Parlo per me: è clamorosamente vasto e c’è qualcosa per qualsiasi palato. Personalmente sono felice che negli ultimi 10 anni il panorama indie si sia diversificato e abbia anche portato con sé un recupero (rielaborato e migliorato) del modo di fare e concepire i giochi proprio del mio tempo. Non voglio fare una idolatrazione degli indie a 360 gradi, sono consapevole che, purtroppo, c’è un quantitativo molto importante di roba fatta con poco talento e poche idee o anche operazioni ruffiane che nascondo grossi limiti dietro una pixel art spesso scialba e poco ispirata, ma in generale devo dire che molti dei giochi che più mi hanno gustato negli ultimi anni sono stati giochi indie.
Le produzioni cosiddette tripla A hanno raggiunto livelli tecnologici impressionanti, ma a fronte di tecnologie hardware e sistemi di sviluppo sempre più sofisticati, a volte ho l’impressione che le idee scarseggino e noto, ahimè, una certa “sporcizia” e qualche carenza proprio sul lato gameplay, con controlli spesso goffi e imprecisi, interazioni ambientali discutibili e la volontà di piegare il media videoludico a narrare storie come se si fosse al cinema, senza contare che quello dei videogiochi è un linguaggio che mal si adatta al racconto classico e che bisogna sforzarsi di trovare modalità nuove.
Ma detto questo ci sono comunque autori straordinari e sicuramente giochi spettacolari e la fruizione dei videogiochi è diventata sicuramente più piacevole rispetto ad un tempo (dove spesso ci si trovava di fronte a prodotti grezzi, criptici, confusi e legnosi).

Nintendo Switch è la console dell’attuale generazione che più di tutte ha osato e innovato. Cosa pensi di questa console?

Eh, purtroppo non so quanto riesco ad essere oggettivo dato che in me batte forte un cuore da nintendaro. Parlo per esperienza personale: è una console che più di ogni altra ha ridefinito il mio modo di giocare… la sua versatilità mi ha permesso di poter giocare con molta più frequenza rispetto a prima… è in assoluto la console sulla quale ho comprato più giochi (quasi tutti finiti) e spesso ho comprato roba che avrei normalmente giocato su PC. Quindi la mia opinione in questo senso è assolutamente entusiastica.
Come nota negativa invece, sono convinto che, se da un lato l’idea alla base e la sua realizzazione siano eccellenti, dall’altro credo che Nintendo avrebbe potuto capitalizzare molto molto di più se non avesse fatto scelte al limite dell’improponibile… tutta l’idea del telefonino come supporto alla console è assurda e la mancanza di servizi (anche solo una chat testuale) integrati nella console è senza senso. Credo che Nintendo abbia incontrato un successo enorme in parte meritato (per aver innovato e fornito un supporto apprezzabile a livello software), ma che stia conducendo la console con il freno a mano tirato. La macchina ha potenzialità ampiamente inespresse per decisioni, diciamo… strategiche.

Grazie per questa intervista. Spero di averti presto come ospite di GameScore in qualche nostra live.

Grazie a te e a tutta la redazione. E’ stato un piacere.

Ultimo aggiornamento: 2023-12-05 at 12:40