Ultimate Stories – Link

Penso di essere uno dei pochi al mondo che gioca a The Legend of Zelda per la lore, più che per quello che offre a livello di gameplay. Ovviamente, non voglio dire che tutto quello che mi interessa della saga trentennale creata da Shigeru Miyamoto sia solo ed unicamente la storia. È innegabile il valore ludico di praticamente tutti i titoli di The Legend of Zelda – ad eccezione di pochi. Tuttavia, non c’è niente che mi appassiona di più che discutere come si dispiega la storia di questi giochi, qual è l’ordine cronologico dei vari episodi, e qual è la storia dei singoli personaggi. Quando mi è stato proposto di scrivere un articolo su un personaggio di Smash, non ci ho pensato su neanche mezzo secondo. Già conoscevo la mia preferenza. In questo Ultimate Stories, andiamo quindi ad esplorare il personaggio di Link, ma in un modo diverso dagli altri articoli di questa serie. D’altronde, l’ultimo Fuori Target risale ormai a più di due mesi fa. Quindi, quale migliore occasione se non l’uscita di Smash Bros. Ultimate per fare un’analisi approfondita del mio personaggio preferito dell’universo Nintendo? – e dell’intera scena videoludica, devo ammettere. In questo articolo, perciò, andremo sì a vedere le varie caratteristiche che rendono Link unico all’interno della serie Smash Bros., ma prima di arrivare a questo, è necessario fare un passo indietro. È necessario partire dal gioco di origine, The Legend of Zelda. Bisogna capire chi è Link, quali sono i tratti caratteristici di questo personaggio. La domanda alla quale questo Ultimate Stories vuole rispondere è “Perché teniamo a Link?”. Di certo come personaggio non presenta molte sfaccettature da un punto di vista narrativo/psicologico – le stesse che può avere Red di Transistor, per esempio – eppure, sono ben vent’anni che sono affascinato da questo ragazzo dalle orecchie a punta. Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un ulteriore passo indietro. Eh lo so, ci stiamo allontanando sempre di più dall’argomento centrale. Ma prima di poter analizzare un personaggio così sfuggente, è fondamentale costruire una cornice di pensiero con la quale possiamo trarre conclusioni sulla natura di Link. Nella prima parte di quest’articolo, andremo a vedere in che modo i giocatori si relazionano ai personaggi che controllano sullo schermo. Quali sono i processi mentali che ci portano a relazionarci con gli avatar che muoviamo? Una volta che avremo risposto a questa domanda, a quel punto andremo a vedere Link nel dettaglio, la sua storia e la nostra relazione con lui. Come ultima cosa, lo collocheremo all’interno dell’universo di Smash Bros., e mi auguro che per la fine di questo articolo il vostro cervello sia completamente assuefatto e entrerete anche voi nella schiera dei fan boy di Link.

La relazione giocatore – PG

Una delle cose che ci rimane più impresso quando giochiamo ai videogiochi è esattamente il personaggio che controlliamo. D’altronde, tramite il nostro alter ego virtuale, la nostra coscienza si espande entrando in contatto con il mondo digitale che all’improvviso diventa la realtà che navighiamo. Centrale, quindi, il rapporto che instauriamo con il nostro avatar sullo schermo. Ovviamente, mi riferisco a quei giochi cosiddetti ‘character-oriented’: giochi che hanno protagonista un personaggio tramite il quale il giocatore si muove nel mondo di gioco. Da Super Mario, Half-Life, fino a Final Fantasy e The Legend of Zelda. Il rapporto che si viene a creare tra noi e questi personaggi digitali è fondamentale per il tipo di esperienza che vivremo nel gioco. In altre parole, l’avatar sullo schermo è uno dei mezzi principali tramite il quale noi giocatori sviluppiamo una comprensione del mondo di gioco. Per esempio, pensate se giocassimo a Super Mario 64 con Cloud Strife come protagonista: l’esperienza che ne deriverà alla fine sarà nettamente diversa rispetto a quella che avremmo avuto con il baffuto idraulico. Le abilità, le possibilità di movimento, tutte queste caratteristiche intrinseche dei PG ‘incorniciano’ la nostra comprensione del mondo di gioco. C’è una sorta di contraddizione in tutto questo però. Noi giocatori controlliamo questi avatar e gli spingiamo al limite delle loro possibilità, eppure quando ne parliamo è come se questi avessero una loro personalità. Certo, i racconti delle esperienze di gioco sono sempre fatte in prima persona – “Ho calcolato male l’altezza del salto…”, per esempio – ciononostante, siamo in grado di distinguere un Link da un Solid Snake, per dire. C’è qualcosa di strano in tutto questo: com’è possibile che questi personaggi abbiano una personalità quando siamo noi a comandarli? Ed è proprio qui che entra in gioco il nostro cervello e le nostre capacità sociali.

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Uno degli aspetti fondamentali della relazione fra i nostri avatar e la nostra coscienza è proprio la natura sociale dell’essere umano. Il nostro modo di relazionarci con il prossimo e i processi mentali che ci forniscono la conoscenza necessaria per interpretarlo sono alla base della nostra comprensione dei personaggi dei videogiochi. Ma andiamo con calma. Quando vediamo qualcun altro sorridere, per esempio, nel nostro cervello accade qualcosa di strano. Per fare in modo che comprendiamo il fatto che l’altro sta sorridendo, la nostra materia grigia attiva quelle zone che vengono utilizzate proprio per sorridere. Questo significa che capire le azioni, o le espressioni, di qualcun altro sembra essere molto dipendente dalla nostra comprensione delle nostre possibilità di azione e di espressione. Esattamente come ho detto, se vediamo qualcuno sorridere, si attivano le zone del nostro cervello come se anche noi stessimo sorridendo. Questo è un processo del quale non siamo consapevoli, eppure è fondamentale perché fornisce la base della nostra comprensione del prossimo. E quando giochiamo ai videogiochi, questa stessa base viene usata per relazionarci con i nostri avatar.

Il discorso sulla immersione che viene fatto di solito, perciò, non può stare in piedi. Il modo in cui partecipiamo alle imprese dei nostri eroi sullo schermo, va oltre il mero ‘calarsi nei panni di qualcuno’. No, la parola corretta che va usata in questo caso è coinvolgimento. Coinvolgimento non esclude immersione, tutt’altro, questa fa parte dell’intero processo relazionale tra noi e i personaggi digitali. Tuttavia, bisogna distinguere due tipi diversi di coinvolgimento: coinvolgimento empatico e coinvolgimento basato sugli obiettivi. La differenza fra i due sta nel fatto che il primo risulta in una sorta di comunione totale con il personaggio che controlliamo, dove i nostri obiettivi e quelli del nostro avatar coincidono, risultando in una reazione emotiva agli eventi di gioco simile a quella che avrebbe il nostro personaggio. Il secondo tipo di coinvolgimento è semplicemente il giocatore che per raggiungere il proprio obiettivo sfrutta il proprio avatar – derivandone perciò un tipo di relazione conseguente.

Inutile dire che il tipo di relazione più profonda si ha con il coinvolgimento empatico. Al tempo stesso, però, l’uno non esclude l’altro. In ogni caso, ci sono determinati prerequisiti che influenzano il modo in cui un giocatore si pone nei confronti del proprio avatar. Questi tre elementi sono: Riconoscimento, Allineamento e Fedeltà.

Riconoscimento descrive l’immagine mentale che un giocatore ha di un personaggio. Ovviamente, questa dipende dall’estetica del personaggio, da come questo viene presentato. Il simbolismo qui è importante, e il collegamento con il sistema di referenze di ognuno di noi è fondamentale. In altre parole, alcuni tipi di oggetti comunicheranno un determinato significato. Allineamento si riferisce alla posizione del giocatore rispetto all’avatar. Cioè, il modo in cui l’informazione sulla narrativa del gioco è distribuita e qual è la differenza di conoscenza fra noi e il personaggio sullo schermo. A seconda che ne sappiamo di più o di meno rispetto a lui/lei, il rapporto giocatore-avatar cambia radicalmente. Fedeltà, invece, si riferisce alla valutazione morale ed estetica del personaggio. Che sarebbe a dire, fino a che punto gli ideali e le credenze del personaggio rispecchiano quelle del giocatore? Ovviamente, non è che per apprezzare un Trevor di GTA V dobbiamo essere dei pazzi criminali, però il nostro giudizio morale nei suoi confronti è uno dei pilastri su cui si basa la nostra comprensione.

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E veniamo a Link ora, finalmente. Link è un personaggio un po’ strano. In trent’anni, non ha mai detto una parola. Gli unici suoni usciti dalla sua bocca sono stati versi apparentemente senza senso, ma che comunque andavano ad indicare lo sforzo fisico al quale lo stavamo sottoponendo. Ma chi è Link?

Hey, listen!

La lore di The Legend of Zelda è un casino. Nintendo pure ci ha messo del suo, con il rilascio dell’infame Hyrule Historia, dove tutta la timeline zeldiana è messa ‘nero su bianco’. Non è questa la sede adatta per mettersi a discutere delle implicazioni di Ocarina of Time e di come la doppia timeline alla fine non ha nessun senso. Qui, io voglio parlare di chi è Link. Attraverso la sua storia, risulteranno chiari quali sono tutte quelle piccole cose che portano noi giocatori ad amare questo Hylian dalla tunica verde.

Non parlerò di tutti gli Zelda per tracciare la storia di Link, o almeno, non ne parlerò nel dettaglio. Voglio partire però da uno dei titoli più sottovalutati dal punto di vista del gameplay, ma probabilmente il più importante per quanto riguarda la lore. The Legend of Zelda: Skyward Sword è una sorta di prequel: la storia racconta di Skyloft, questa città fluttuante dove vivevano gli umani messi in salvo dalla dea Hylia durante la Grande Guerra contro Mortipher (o Demise, in inglese). Senza scendere troppo nel dettaglio (funfact: le rovine di Skyloft possono essere visitate in Twilight Princess), Skyward Sword spiega come mai nel corso delle epoche il demone Ganon – o chi per lui – è rinato e la reincarnazione della dea (Zelda) e il suo campione (Link) provano sempre a fermarlo – con successo, ovviamente. Per farla breve, dopo che Link e Zelda sconfiggono Mortipher, il signore dei demoni li maledice entrambi, condannando loro e i loro discendenti ad un’eterna lotta contro il male. Ogni episodio di Zelda, perciò, non fa altro che rinnovare la maledizione di Mortipher, costringendo i nostri beniamini a mettere in pericolo la propria vita. Né Zelda né Link sono eroi per scelta, ma bensì perché qualcun altro li ha messi in quei panni.

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D’altronde, non è quello che facciamo anche noi ogni volta che accendiamo un The Legend of Zelda? Il gioco ci impone di essere degli eroi, ed ecco che lì di fronte a noi si staglia lui, nella sua tunica verde ed il cappello a punta: l’eroe del tempo. Link fa di tutto per essere eroico: non soltanto il suo aspetto – che ricorda molto quello degli elfi dal fantasy di tradizione occidentale – ma anche e soprattutto per quello che fa. A seconda di come ci poniamo nei confronti dei suoi obiettivi, il nostro coinvolgimento con il personaggio Link può raggiungere gradazioni diverse. Ma mettiamo per un attimo che riusciamo ad avere un coinvolgimento empatico con lui. Mettiamo caso che la ricerca della triforza del coraggio la interpretiamo come la nostra di ricerca del coraggio. Ed ecco che lì noi diventiamo degli eroi. Tramite Link, tramite le sue azioni e i suoi ideali, noi ci facciamo coinvolgere nella sua ricerca del coraggio a tal punto che siamo noi stessi che ci mettiamo in viaggio per trovare il coraggio di affrontare i demoni della vita. Questa sensazione è data in misura ancora maggiore dal fatto che in ogni gioco di Zelda, Link è totalmente all’oscuro di quello che sta succedendo e perché. Allo stesso modo, pure noi non ne abbiamo assolutamente idea. Solo armandoci di coraggio e affrontando gli ostacoli, scopriremmo la verità alla fine, quella verità che ci renderà degli eroi.

Super Smash Bros. Ultimate

Questi sono i motivi fondamentali per i quali adoro Link come personaggio, sopra chiunque altro. Ed ovviamente, nel nuovo Super Smash Bros., ma così come in tutti gli altri, la mia scelta ricade sempre e solo su Link. Come ho già detto nell’editoriale, Link ha a disposizione una quantità di accessori incredibile: frecce, boomerang, bombe… e lo scudo. A differenza dei titoli precedenti, le bombe di Link in questo Smash Bros. sono ispirate a quelle presenti in Breath of the Wild. Questo significa che per farle esplodere è necessario premere di nuovo la combinazione di tasti delle bombe, esattamente come accade nell’ultimo capitolo di The Legend of Zelda.

In generale, Link è un personaggio abbastanza lento – certo, non quanto Ganondorf! Questa sua ‘lentezza’ è però controbilanciata da attacchi che fanno una quantità considerevole di danni. La Smash finale pure fa subire una quantità non indifferente di danno – ma d’altro canto, non lo fanno tutte?

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In conclusione, Link è un grandissimo personaggio che richiederebbe un’analisi molto più approfondita per essere compreso a pieno. Nonostante non parli, nonostante sembri essere particolarmente piatto, in verità, nel profondo, c’è molto di più. Questo ‘di più’ si viene a creare proprio nel momento in cui noi giocatori entriamo in contatto con lui. Per finire questo editoriale, non mi resta altro che augurarvi un buon Smash Bros. Ultimate. Hyyaa!

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Bibliografia

Lankoski, Petri. “Player Character Engagement in Computer Games.” Games and Culture 6, no. 4 (Luglio 2011): 291–311. doi:10.1177/1555412010391088.

Ultimo aggiornamento: 2023-12-08 at 06:40