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Inside – Recensione

Fuggite, sciocchi

Inside ci trasporta sin da subito in un mondo crudo, brutale, in cui siamo continuamente braccati senza sapere esattamente da chi. In questo mondo distopico non ci viene spiegato nulla, non ci sono scene di intermezzo o slide testuali a raccontarci perché ci troviamo in quella situazione. Non sappiamo neanche chi sia il protagonista, capiamo solamente che abbiamo davanti un bambino in fuga da qualche sorta di organizzazione, ma nulla di più. Per quanto inizialmente questo possa spiazzarvi e spaesarvi, fidatevi che sarà  uno dei punti di forza del titolo, ciò che ha fatto e continua a far girare decine di teorie intorno al titolo, chi parla di un mondo post apocalittico, chi di allegorie sul videogioco stesso o di controllo mentale, ma non è questa la sede per approfondirle, anche perché ci sarebbero da fare spoiler grossi come una casa. Le morti a cui andrà incontro il nostro piccolo alter ego vi faranno desiderare di completare il gioco senza il minimo errore; fidatevi quando vi dico che vedrete raramente così tanta violenza e ferocia in un gioco, non tanto per chi sa quali esagerazioni e spargimenti di sangue, ma perché saranno nette, crude e più che mai realistiche, compiute con una naturalezza quasi terrorizzante e non lasceranno alcuna soluzione di continuità, lasciandovi sempre sgomenti per qualche secondo.

Inside
I momenti tranquilli saranno davvero pochi

Less is more

Inside fa sua questa filosofia sotto diversi aspetti, a partire dalla direzione artistica. L’ambiente è composto principalmente da forme squadrate e ben definite, con una palette cromatica che utilizza diversi toni di grigio, per lasciare gli unici schizzi di colore solo ad oggetti con cui interagire o sporgenze utili al procedere della nostra corsa, il che aiuta a rendere l’atmosfera del titolo ancor più cupa e ansiogena. l’unico aspetto dove la produzione si spende un po’ di più è la vastità di campo, dove si possono notare scorci molto ampli, ma pur sempre desolati.  I vari umani che incontreremo nella nostra strada rispecchiano ancora volutamente questo concetto, essendo tutti senza volto e con delle forme che ne accennano  solo i contorni, per ribadire quanto non siano altro che corpi vacanti e controllabili, l’eccezione è volutamente riservata al nostro protagonista, facilmente riconoscibile dal taglio di capelli e dal colore della maglia, che non ritroveremo in altri corpi. 

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Zombie senza fame.

Il gameplay segue la scia dell’ottieni di più con meno ed è contraddistinto dalla semplicità, essendo un platform-puzzle a scorrimento orizzontale avremo infatti l’analogico sinistro che ci farà muovere in avanti ed indietro, un tasto (B) dedicato al salto ed uno (Y) all’azione, niente più. Questo però non ha limitato di certo la fantasia dei game designer di playdead, in quanto il tasto azione ci permetterà di interagire con l’ambiente in modi sempre diversi, e se nelle primissime fasi del gioco le situazioni ci sembreranno abbastanza simili, basterà superare anche meno della prima ora di gioco per rendersi conto che potremo utilizzare il controllo mentale su alcuni nostri simili, pilotare un sottomarino o interagire con alcuni animali, dando vita a situazioni sempre piuttosto diversificate. Il punto debole di questo gameplay è dovuto invece alla grossa quantità di trial and error presenti in tutta la durata del titolo, data l’assenza di un tutorial che, giustamente, risulterebbe noioso da riproporre ad ogni situazione diversa. La nostra disfatta non sarà dovuta tanto ad una carenza di abilità, nella gran parte dei casi, ma da un proporsi di eventi imprevedibili e non calcolabili. Fortunatamente sono situazioni che non vanno mai oltre il tollerabile, difficilmente vi troverete a ripetere un’azione più di un paio di volte o che queste vi facciano partire le coronarie.

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Potrebbe essere il sottosopra!

Non fiatare!

Ho sempre sostenuto che in un titolo survival, sia esso o meno horror, ciò che trasmette più di ogni altra cosa le sensazioni di ansia, paura e fiato sul collo è sicuramente l’audio. Infatti in Inside troviamo degli effetti sonori sempre precisi, puliti, che ci fanno sussultare non per un banale jump scare, ma perché ci sentiamo realmente e perennemente sul filo del rasoio, possiamo facilmente ascoltare il fiatone del nostro alter ego nelle fasi più concitate, lo zampettare di un cane nei dintorni o il suo abbaiare sempre più vicino a noi, fino al ronzio di qualche macchinario da cui stare sicuramente lontani. La colonna sonora di contro risulta a volte sottotono, non fraintendetemi, non la troverete mai invadente o fuori contesto, semplicemente non c’è alcun pezzo che rimarrà impresso nella vostra memoria o che riconoscereste al di fuori del contesto del gioco, ed è un gran peccato, perché è uno dei pochi aspetti che non fa ergere Inside a capolavoro.

La luce non è sempre qualcosa di positivo…

Sempre dritto e non voltarti mai

L’opera seconda di playdead segue sotto molti aspetti ciò che ha rappresentato Limbo, sicuramente trasmettendo la stessa sensazione di pericolo, ma riesce anche a discostarsene grazie ad uno stile personale e riconoscibile, ed elementi sicuramente peculiari del titolo. Siamo sicuramente di fronte ad un evoluzione sotto il punto di vista tecnico e di gameplay, e l’effetto sorpresa non si farà attendere, peccato per alcuni aspetti come una colonna sonora sottotono ed un trial and error a volte di troppo che, anche se non rovinano il prodotto finale, non gli fanno fare quel passo in più che serve per passare dall’essere un ottimo gioco ad un capolavoro, capacità che, ne sono certo, non manca agli sviluppatori danesi. Detto ciò, è un’opera che non deve sicuramente mancare per gli amanti dei survival che cercano esperienze nuove e valide, non fatevelo scappare.

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Inside – Recensione
PRO
Atmosfera d'impatto
Gameplay semplice ma originale
Effetti sonori eccellenti
CONTRO
Troppi trial and error
Colonna sonora migliorabile
Longevità non eccelsa
7.9
Non hai scampo!