Octodad: Dadliest Catch

Octodad: Dadliest Catch – Recensione

POLP FICTION!

In Octodad: Dadliest Catch il giocatore veste i panni di un polpo che tenta di condurre una normale vita da essere umano. Il protagonista non ha chissà quali grandi ambizioni, è un semplice polpo di periferia che ama la propria famiglia e che fa le faccende di casa: prepara il caffè, falcia il prato, va a fare la spesa… Ma per quanto si impegni, la sua natura di essere viscido e tentacoluto non lo facilita di certo, e per il papà polpo anche la più semplice delle azioni quotidiane si trasforma in un’impresa.

Volevo solo prendere il portafogli…

Non è un caso infatti che questo… platform senza piattaforme? Action in terza persona con fasi stealth e bucce di banana? Collezione di minigiochi che mettono alla prova la nostra pazienza? Visual novel sulla vita matrimoniale interspecifica? Oddio, non saprei proprio come etichettare Octodad, tanto è particolare. Simulatore di paternità, ecco, forse questo è il termine migliore per definire un titolo in cui ci prendiamo cura dei bimbi a casa, al supermercato e all’acquario, mentre ascoltiamo le costanti lamentele di nostra moglie. Perché c’è qualcosa che non funziona nel matrimonio, lo capiamo fin dalle prime battute. Lei non è felice, le manca qualcosa… Stavo dicendo? Ah sì…
Non è un caso infatti che questo… folle esperimento (tiè!) sia il gioco con il peggior sistema di controlli che abbia mai avuto l’occasione di provare. Non solo infatti i movimenti di ogni singolo arto (o tentacolo, in questo caso) vengono gestiti da un diverso tasto del controller, richiedendo al giocatore una coordinazione senza precedenti, ma il motore fisico calibrato con intenzionale sadismo interviene costantemente per ricordarci quanto difficile sia per un cefalopode anche solo camminare in posizione eretta.
Il risultato di queste scelte è la totale impossibilità di portare a termine qualsiasi attività con un minimo di precisione, e la distruzione degli ambienti di gioco è una conseguenza inevitabile. Carambolando letteralmente da una location all’altra, sfasciando ogni mobile e suppellettile che avrà la sfortuna di trovarsi sul nostro tragitto, Octodad ci trasmette dall’inizio alla fine due sensazioni opposte: da una parte infatti non possiamo non provare un’immediata simpatia per il polpo protagonista e la sua goffaggine, dall’altra invece l’acuta frustrazione istigherà in noi un odio profondo per il gioco, gli sviluppatori e le madri di quest’ultimi.

Le bucce di banana sono il peggior nemico di papà polpo.

Non c’è molto altro da dire, se non cercare di rispondere ad una semplice domanda: perché? Qual è il senso di tutto ciò? Cosa può invogliarci a giocare ad un titolo corto, graficamente povero, che che fa di tutto per farci scaraventare il controller fuori dalla finestra?

POLP ART

Prima di spiegarvi perché Octodad: Dadliest Catch sia un gioco che merita di essere provato almeno una volta, occorre fare un’importante premessa. Perdonate quindi l’impostazione un po’ scolastica del prossimo paragrafo. Cercherò di essere chiaro e sintetico.

L’arte non sta nel contenuto, ma nella forma. Prendiamo per esempio un romanzo: non è la storia narrata dall’autore a far sì che la sua opera possa aspirare ad un riconoscimento artistico, ma bensì il modo in cui tale storia viene narrata. Sono le parole che l’autore sceglie per raccontare, l’ordine con il quale le dispone sulla pagina, il suono di esse, gli spazi e la punteggiatura che donano loro ritmo e significato. È la forma, lo stile, il modo in cui parole e storia interagiscono, che rendono un’opera letteraria immortale. Senza la prosa poetica di Foscolo, “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” sarebbero solo dei patetici post su Facebook.
Ogni campo artistico mette a disposizione dell’artista un diverso set di strumenti. La letteratura ha la parola, la pittura ha linee e colori, il cinema ha suoni ed immagini…

Alcune fasi platform sono un vero e proprio incubo da affrontare con questo sistema di controlli.

Anche il videogioco può diventare arte, ma qual è esattamente lo strumento a disposizione dell’artista-game designer? Qual’è l’elemento unico, proprio solo di questo media, che possiamo considerare la forma dell’opera videoludica, così come la parola lo è dell’opera letteraria? Io credo che l’unica risposta possibile a questa domanda sia il gameplay.
Perché quando un videogioco ci propone una bellissima storia, narrata con bellissime immagini, non fa altro che prendere in prestito da altri linguaggi artistici. Un “The Last of us” mi emoziona tanto quanto mi emozionerebbe un film o una serie TV che tratta le stesse vicende.
È l’interazione, la presenza del giocatore all’interno del gioco, ciò che distingue il videogioco da altre forme d’arte. E quando le azioni che compiamo all’interno del mondo di gioco acquistano significato e amplificano la nostra esperienza, quando i tasti che premiamo sul controller sono in grado di darci e dirci qualcosa, di farci riflettere, di emozionarci, ecco che il videogioco diventa arte.

CHE MI PRENDA UN POLPO!

Sulla base di questo ragionamento riusciamo finalmente a spiegarci il perché di un sistema di controllo volutamente impossibile da padroneggiare. Lo scopo di Octodad infatti non è quello di portare a termine le semplici richieste di moglie e figli, ma di farci provare sulla nostra pelle l’estrema difficoltà con cui papà polpo affronta ogni piccola sfida quotidiana.

Uno dei tanti minigiochi che metterà alla prova la nostra coordinazione.

E per quanto frustrante, il gioco esercita su di noi un certo fascino. C’è qualcosa nel protagonista che ci ispira tenerezza, e ben presto riusciamo ad instaurare con lui una sorta di connessione empatica. Le sue disavventure ci paiono terribilmente familiari, il suo imbarazzo ci riporta alla memoria momenti della nostra vita nei quali, sì, le cose non sono proprio andate come avremmo voluto. E ad un certo punto realizziamo che siamo noi, il polpo.
Octodad è una metafora della vita. Un po’ come nelle vecchie favole di Esopo, in cui ogni animale acquisisce un particolare tratto della natura umana, il polpo di Octodad rappresenta il nostro disagio, il nostro sentirci diversi, il nostro non essere all’altezza delle responsabilità piccole e grandi che la vita ci pone davanti. Ogni giorno ci svegliamo, indossiamo il nostro completo blu, ci annodiamo per bene la cravatta e preghiamo di avere finalmente un minimo di controllo sui nostri tentacoli, che si muovono, toccano, urtano e lasciano dietro di noi una scia di errori, rimorsi e rimpianti.

Dal mio punti di vista, Octodad: Dadliest Catch è un gioco che possiede delle velleità artistiche. È in grado infatti di comunicarci qualcosa, e nelle due ore e mezza circa che ho impiegato per portarlo a termine mi sono emozionato. Un’emozione che nasce non da una grande storia, ma da un gameplay che mi ha permesso di entrare in sintonia col protagonista e di vivere in prima persona il suo fallimento e il suo riscatto.

Non oso immaginare il taglio della torta.

Lo riconosco, la mia è un’interpretazione nata da un’esperienza personale, e come tale va presa con le pinze. Il gioco rimane estremamente particolare e può non piacere a tutti. Al di là di tutte queste considerazioni Octodad è pur sempre un titolo corto, poco rifinito e limitato. Offre qualche spunto di rigiocabilità, con collezionabili da raccogliere, una modalità cooperativa, un paio di capitoli extra, ma non richiede più di qualche ora per essere esplorato a fondo.

Prima di acquistare valutate attentamente i tanti difetti e i pochi pregi. Pensate ad Octodad come ad un film d’autore che vince premi su premi, ma che voi trovate mortalmente noioso. Da critico è mio dovere riconoscere il valore dell’opera in questione, ma da amico, beh, vi consiglio di fare bene i conti prima di acquistare il biglietto.


Se siete interessati a dare una sbirciatina alle primissime fasi del gioco per capire meglio come funziona il particolare sistema di controllo, ecco il video gameplay realizzato da Casa Nintendo.


E nel caso voleste un terzo parere non preoccupatevi, come al solito vi invitiamo a leggere la recensione dei nostri amici di Nintendo Player.

Nintendo Player Logo

Octodad: Dadliest Catch
Octodad: Dadliest Catch – Recensione
PRO
Artisticamente valido
Il sistema di controllo ha un suo perché
CONTRO
Graficamente povero
Poco longevo
Può risultare frustrante
6.8