Uncharted 4

E se Uncharted 4 non fosse un capolavoro? – BorderLine

Si era già parlato di Uncharted 4 nella rubrica Fuori Target, circa un paio di mesi fa, analizzando tutto quello che gira attorno ad una saga così importante, dal cinema alla letteratura, per arrivare al suo habitat naturale: i videogiochi. Oggi, però, ritorniamo a discutere di quest’ultimo capitolo dalla qualità indiscussa, e lo facciamo inaugurando una nuova rubrica: BorderLine. Prima ancora di essere assalito da un’orda di fan inferociti pronti a vivisezionare il mio cadavere, rischiando quindi di chiudere anzitempo la nuova rubrica di GameScore, vorrei fare una semplice premessa: amo i Naughty Dog, amo Uncharted ed ho letteralmente adorato quel capolavoro immenso che alla fine della scorsa generazione pose le basi per un dominio qualitativo della next gen di Sony rispetto alla controparte Microsoft: The Last of Us. Fatta questa premessa, a poco più di un anno dall’uscita del capitolo conclusivo di una saga che ha fatto la storia di Playstation (soprattutto della terza console casalinga del colosso giapponese), possiamo porci la seguente domanda senza rischiare di essere tacciati per haters: Uncharted 4 è veramente un gioco epocale? Evidentemente, se c’è stato bisogno di scomodare fiumi e fiumi di inchiostro (digitale) per discuterne, avrete probabilmente già intuito la mia risposta: NO. Ma procediamo con ordine.

Uncharted 4
Scenari più ampi ed ariosi, una delle principali novità di quest’ultima avventura di Nathan Drake.

I Naughty Dog hanno confezionato un prodotto che eccelle sotto quasi tutti i punti di vista, da quello tecnico a quello squisitamente artistico, passando per la scrittura dei dialoghi, le sezioni platform, e perché no, anche quelle sezioni shooter che tanto risultavano legnose nei capitoli precedenti, qui risultano più dinamiche ed ariose, merito soprattutto di un level design molto più articolato e di ampio respiro. Se bastasse analizzare singolarmente ogni componente di un’opera videoludica, probabilmente l’ultima fatica del team americano dovrebbe essere bollata come capolavoro senza alcun dubbio. Ma in questo settore la realtà dei fatti è ben lontana dal seguire ciecamente una semplice equazione matematica: quando si tratta di valutare un videogioco, 2 + 2 non fa 4, o perlomeno, non sempre; e allora cosa manca davvero a quest’opera affinché possa essere collocata nell’Olimpo dei capolavori? Beh…la risposta è dietro l’angolo: il coraggio delle idee. Uncharted 4 è un gioco bellissimo, curato e coinvolgente, ma lo abbiamo già giocato anni fa quando abbiamo inserito il disco del secondo capitolo, e lo abbiamo rigiocato ancora quando abbiamo toccato con mano il terzo capitolo. Uncharted 4, semplicemente, non ha nulla di interessante da dirci, non crea un filo diretto con il giocatore, non ci prende a cazzotti come fece “Il Covo dei ladri”. Insomma, Uncharted 4 non stupisce. L’impressione generale che si ha percorrendo l’avventura finale di Nathan Drake è quella che la saga non abbia praticamente più nulla da raccontare, da ogni punto di vista. E lo si avverte mentre per l’ennesima volta un crollo di un edificio ci fa cambiare il percorso prestabilito, mentre per l’ennesima volta un personaggio riappare dal mondo dei morti, con il tutto che ci conduce verso un finale talmente scontato, che sembra sia stato quasi deciso a tavolino in fase di marketing. Sarebbe chiaramente scorretto fare paragoni con la precedente opera dei Naughty Dog, The Last of Us, ma, personalmente, il paragone risulta impietoso.

Uncharted 4
Alcuni scorci lasciano letteralmente senza parole…

La sensazione generale è che Neil Druckmann volesse liberarsi di una saga che non gli appartiene proprio in toto, perlomeno nel ruolo di creative director. Il risultato è un gigantesco more of the same che sfrutta il salto generazionale, mostra i muscoli di PS4, e ci fornisce un capitolo più bello in tutto, ma che non soprende mai. Resta, dal mio punto di vista, una piccola delusione videoludica. Uncharted 4 sembra quasi un gioco messo in piedi dai fan. Immaginate un gruppo di giocatori appassionati di una saga che ha la possibilità di poter mettere mano allo sviluppo del capitolo conclusivo della loro serie preferita. Cominciano a documentarsi, studiano, fanno un gioco eccezionale, curato, inseriscono ogni cosa che vorrebbero vedere all’interno della loro saga preferita. Un sogno che diventa realtà. Lo sviluppo finisce e loro stessi provano il gioco: qualcosa non va, manca quel senso di distacco, quell’idea in più che confeziona il tutto con un colpo di classe e che fa distinguere un gran gioco da una pietra miliare. Insomma, manca il tocco dei “cagnacci” americani.

Uncharted 4
Ed ecco Indiana Jones in az…ah no, scusate, è sempre il caro vecchio Nathan.

Ancor prima del coraggio delle idee, a Neil Druckmann e soci è mancato il coraggio di mettere da parte questa splendida serie e lasciarla “decantare” per un po’. Probabilmente, se avessimo visto il capitolo conclusivo fra qualche anno, i ND sarebbero stati ancora capaci di stupire con le avventure di Nathan. Così, purtroppo, non è stato. Perché forse, a volte, un’idea innovativa potrebbe anche essere quella di accettare il fatto che, allo stato attuale, un sequel migliore non può essere creato, o, semplicemente, è ancora troppo presto anche solo iniziare a pensarlo.

Uncharted 4 è uno dei migliori giochi di questa generazione? Probabilmente sì.

Fra 20 anni parleremo ancora di Uncharted 4? Probabilmente no. Ed è proprio questa la differenza tra un capolavoro ed un grande gioco.